L’effetto Kosovo ha investito l’Ossezia del Sud e la Crimea, ora è il turno del Veneto?
Nella consultazione per l’indipendenza del Veneto (marzo 2014) i voti conteggiati sono stati due milioni 360.235, pari al 73,2% degli aventi diritto al voto in veneto; i sì all’indipendenza sono stati due milioni 102.969, pari all’89% dei votanti, i no 257.276 (10,9%). Considerato il silenzio dei mass-media e delle istituzioni nazionali, il risultato è rilevante: non solo per l’affluenza ma anche per il clima di fastidio e di timore che detta consultazione crea in chi teme la secessione del Veneto.
Ora spetta al Consiglio regionale e al suo Presidente Luca Zaia, il compito di attivare il percorso legislativo per ottenere l’indipendenza o almeno un federalismo di sostanza e non di forma. Se questi soggetti politici, non vorranno o non sapranno dare seguito alla volontà indipendentista, avranno tradito il loro compito e non votarli sarà una conseguenza logica.
Quello che impropriamente è stato definito “referendum” è in realtà un “sondaggio” privo di valore giuridico, ma di grande significato politico per il percorso indipendentista del popolo veneto.
L’art . 5 della Costituzione recita : «La repubblica italiana è indivisibile ». La Costituzione come tutte le leggi sono valide fino a quando lo Stato ha la forza e l’autorevolezza di farle rispettare, quando questi requisiti mancano, le leggi perdono validità e divengono carta straccia. Questo accade quando lo Stato perde il consenso dei suoi cittadini o la materia sulla quale legifera è sottotratta alla sua podestà da un ordinamento superiore. Sostiene il Presidente dell’Unione Europea, Barroso, rispondendo a un’interrogazione dell’On. Mara Bizzotto, Lega Nord: «L’eventuale secessione di una regione o di macroregione, all’interno di uno Stato dell’Unione Europea, sarà regolata dall’ordinamento giuridico internazionale e non da quello del singolo Stato al quale la regione appartiene». Se il Veneto o la Catalogna vorranno l’indipendenza, dovranno percorrere la strada del referendum regolato dal diritto internazionale. Questo è avvenuto in Kosovo, provincia sottratta alla Serbia nel nome del principio di autodeterminazione dei popoli.
Il Kosovo divenne indipendente appellandosi al principio di autodeterminazione dei popoli e ottenendo il riconoscimento degli Stati Uniti, della maggioranza dei Paesi europei e delle nazioni appartenenti all’Islam sunnita, prima tra tutte la Turchia dell’islamista Erdogan.
L’intervento militare in Kosovo da parte della Nato e il riconoscimento dell’indipendenza del Kosovo hanno innescato un effetto domino dagli esiti imprevedibili, che sta coinvolgendo le ex Repubbliche sovietiche e potrebbe coinvolgere anche le “piccole patrie” europee: Veneto, Scozia, Catalogna, ecc.
Se furono legittimi l’intervento militare della Nato in Kosovo a protezione della minoranza albanese e il riconoscimento dell’indipendenza del Kosovo, altrettanto legittimi furono l’intervento militare della Russia in Ossezia in difesa della minoranza russofona dell’Ossezia del Sud (agosto 2008) e il referendum con il quale la Crimea ha votato la secessione dall’Ucraina (16 marzo 2014). Se gli Stati Uniti e la maggioranza dei Paesi dell’Unione Europea hanno riconosciuto l’indipendenza del Kosovo, con quale diritto possono negarla al Veneto, alla Catalogna, alla Scozia e alla Crimea? Quando si parla di autodeterminazione di un popolo, non ci sono figli e figliastri. Queste sono considerazioni ovvie per le persone colte e in buona fede, ma non lo sono per gli ignoranti e per chi pensa e agisce in malafede.
Gli Stati Uniti e l’Unione Europea usano il principio dell’intervento umanitario e dell’autodeterminazione per interferire direttamente o indirettamente nella politica interna di nazioni o di regioni strategiche per gli equilibri geopolitici: I Balcani, l’Ucraina, la Siria, la Libia, l’Iraq e l’Afghanistan. La stessa politica imperialista usata dalla Russia sovietica nel passato, quando il comunismo minacciava la pace mondiale e la libertà dei popoli.
In Italia chi si oppone a una riforma federalista o all’indipendenza del Veneto, spesso è animato da interessi meschini che non hanno nulla di patriottico. Niente da spartire con gli ideali di chi sacrificò la vita per l’unità d’Italia o nelle trincee della Prima guerra mondiale, ma si tratta solo della difesa caparbia di un sistema parassitario, che sottrae risorse alle regioni “virtuose” del Nord per destinarle a quelle “indebitate” del Sud o alle amministrazioni dello Stato. Infatti, il denaro raccolto nel “ricco” Nord non serve e non è servito, a promuovere lo sviluppo socio-economico e la legalità nel Mezzogiorno, ma ad alimentare un sistema parassitario inefficiente, destinato ad alimentare l’illegalità e il clientelismo. Non a caso le regioni del Mezzogiorno vantano primati negativi in materia di: assunzioni nel pubblico impiego (i forestali calabresi) false pensioni d’invalidità, opere pubbliche incompiute (la Sicilia vanta questo triste primato) gestione dei rifiuti (Napoli e la regione Sicilia) deficit della sanità divenuti casi da manuale (Sicilia, Calabria e Campania). Discorso analogo vale per gli sprechi del parlamento e del senato, per quelli dell’amministrazione statale con i suoi ministeri. Questo sistema parassitario continuerà ad esistere, fino a quando lo Stato otterrà dal Nord, le risorse necessarie per alimentare l’immonda mangiatoia della “solidarietà” e dell’“unità” nazionale. Non si tratta di egoismo, ma di gestione razionale delle risorse in un periodo di crisi economica che sembra non avere fine. In Veneto gli imprenditori e gli operai si suicidano schiacciati dalla crisi, le aziende delocalizzano e i Comuni tagliano i servizi; destinare le proprie risorse al mantenimento di un sistema parassitario è una scelta suicida.
Malgoverno e corruzione non sono fenomeni solo meridionali (vedi “tangentopoli”), ma alcune regioni sono “virtuose” e altre no. Virtuose, nel senso di autosufficienti e capaci di fornire ai propri cittadini servizi pubblici efficienti.
Il Veneto appartiene al novero delle regioni “virtuose”, insieme a Piemonte, Lombardia ed Emilia Romagna. Le regioni “virtuose” sono quelle con un residuo fiscale attivo. Il residuo fiscale è la differenza tra le entrate (tasse e imposte) che lo Stato raccoglie in una determinata regione e quello che lo Stato restituisce alla medesima attraverso la spesa pubblica (spese per trasferimenti e servizi escluse quelle per gli interessi). Se tale saldo è positivo, la regione sarà in credito verso lo Stato e avrà ricevuto meno di quello che ha dato; se sarà negativo, la regione sarà in debito e avrà ricevuto più di quello che ha dato.
Di seguito il saldo dei residui fiscali 2012. Il Nord presenta un Residuo Fiscale attivo per quasi 95 miliardi di Euro, l’Italia centrale di 8, il Mezzogiorno un passivo di 63. Il residuo fiscale del Nord è dato principalmente da tre regioni a Statuto ordinario: Lombardia 56.490, Emilia Romagna 15.270 e Veneto 14.690 miliardi di euro. Il residuo fiscale passivo del Sud è dato soprattutto da quattro regioni: Sicilia -16020, Campania -15.770, Puglia -12.480 e Calabria -8.690 miliardi di euro. Il Nord presenta un residuo fiscale attivo di quasi 3.500 Euro pro-capite, l’Italia centrale 700, il Mezzogiorno, un passivo di oltre 3.000 euro a testa. Il Veneto ha un residuo fiscale attivo pro capite pari a 3.018 euro (Fonte: Elaborazione www.scenarieconomici.it su base dati ISTAT, Ragioneria Generale dello Stato, DEMO-ISTAT). Il PIL del Veneto è pari a 146.600.000 milioni di euro pari a quello di quattro regioni del Mezzogiorno: Campania, Calabria, Basilicata e Molise (Fonte: Istat anno 2012).
Se il Veneto fosse indipendente, con i circa 15 miliardi di euro del suo residuo attivo potrebbe: ridurre le tasse e le imposte (Irpef, Irap, bollo auto, ecc), migliorare la qualità e la quantità dei servizi erogati, realizzare importanti opere pubbliche e far fronte alle calamità naturali (vedi le recenti alluvioni).
Il Veneto, diversamente dal Kosovo, ha tutti i requisiti per essere indipendente. Il diritto all’autodeterminazione non è un principio astratto, applicabile a tutto e a tutti, se così fosse assisteremo alla disgregazione di intere nazioni e al proliferare di micro-Stati a carattere malavitoso o dipendenti dagli aiuti internazionali. La nascita di una nuova nazione deve essere condizionata da precise condizioni: l’esistenza di un popolo, un referendum popolare che ne decreti la nascita, l’autosufficienza economica.
L’esistenza di un popolo, un insieme di persone che si riconoscono in una lingua e in una storia comune. La storia del popolo veneto è antica e il Veneto fu nazione sovrana e indipendente per circa otto secoli. L’Italia ha solo centocinquanta anni di vita e un peso politico ed economico, molto inferiore a quello che ebbe la Serenissima nel suo glorioso passato.
Un referendum, al quale partecipi oltre il 50% degli aventi diritto al voto della regione secessionista e dove a prevalere sia il sì all’indipendenza. Tali non furono i plebisciti truffa, che decretarono l’annessione del Veneto e delle regioni meridionali al Regno d’Italia.
L’autosufficienza economica: una nazione per essere indipendente deve contare sulle proprie risorse e non sugli aiuti internazionali o su un’economia criminale. Il Veneto è autosufficiente: ha un tessuto di piccole e medie imprese molto sviluppato, un residuo fiscale attivo, un PIL elevato, occupa una posizione strategica in Europa, a cavallo tra l’Adriatico e l’Europa centro-orientale.
Il Kosovo è indipendente ma manca delle condizioni sopra citate: è un narco-Stato, la cui economia si fonda in prevalenza su attività illecite e criminali, l’80% della droga che dall’Afghanistan entra in Europa passa per il Kosovo; è geograficamente isolato, privo di sbocchi sul mare, rinchiuso tra Serbia, Macedonia, Montenegro e Albania; inoltre, non è mai stato una nazione sovrana e indipendente, solo una piccola provincia balcanica, contesa tra serbi e albanesi.
L’indipendenza del Veneto, come quella della Catalogna e della Scozia non vanno intese come fasi di un processo disgregativo dell’unità europea, ma come la nascita di una nuova Europa a carattere federale, rispettosa dei popoli che la compongono e non espressione di oligarchie politico-finanziarie, che attraverso le politiche neoliberiste imposte dalla Troika (B.C.E, F.M.I. e Commissione Europea) segnano la fine della democrazia, condannano i popoli europei a un futuro di miseria morale e materiale. La fine dell’Unione Europea e dell’euro, vanno considerati come una tappa necessaria per la creazione di una vera unione europea e non come la fine dell’Europa.
L’indipendenza del Veneto non significa disgregazione dell’Italia. Il Veneto non vuole unirsi a un’altra nazione, com’è avvenuto con la Crimea, che si è staccata dall’Ucraina per unirsi alla Russia. Il Veneto chiede l’indipendenza per sottrarsi al giogo di uno Stato centralista e inefficiente, privo di autorevolezza internazionale. La storia del Veneto è legata in modo indissolubile all’Italia e i veneti sono italiani, ma questo non significa che debbano seguire il declino di una nazione allo sbando, asservita alla Troika e alla politica estera degli Stati Uniti.
Si a un Veneto indipendente non nel nome di uno sterile e miope egoismo regionale, ma di un progetto geopolitico di grande portata, l’Eurasia. Un blocco di nazioni che comprende i Paesi dell’Unione Europea e la Russia, l’unione dell’Europa dell’Est e quella dell’Ovest: un blocco di nazioni capace di elaborare una politica comune in materia di controllo dell’immigrazione, lotta alla criminalità e al terrorismo islamista, sfruttamento dell’energia, tutela dell’ambiente, occupazione, ricerca scientifica; un blocco di nazioni abbastanza forte da contrastare l’egemonia degli Stati Uniti e combattere la globalizzazione e i suoi effetti perversi.
Il Veneto avrà un futuro di nazione, se come la Serenissima saprà guardare oltre i propri confini, verso l’intera Europa e l’Oriente. Una scelta politica capace di superare gli stretti orizzonti di “Roma ladrona” o dei “feticisti” del tricolore.
Il percorso indipendentista del Veneto può trovare un esito positivo solo con l’appoggio di un attore internazionale del peso politico della Russia, della Germania o dell’Unione Europa, da questi attori deve arrivare il riconoscimento internazionale senza il quale l’indipendenza veneta rimarrebbe lettera morta.
In Europa, la Germania è una potenza regionale, il suo appoggio fu decisivo per l’indipendenza della Slovenia e della Croazia durante la crisi balcanica. Se volesse far entrare nella propria area d’influenza anche il Veneto, il suo sostegno sarebbe decisivo per la nostra indipendenza.
La Russia è una potenza internazionale, il cui appoggio fu decisivo per l’indipendenza dell’Ossezia del Sud dalla Georgia e della Crimea dall’Ucraina, impedì che la Nato attaccasse la Siria. La Russia potrebbe appoggiare l’indipendenza del Veneto e di tutte le “piccole patrie” europee, per accelerare il processo di dissoluzione dell’Unione Europea. Le posizioni di quest’ultima, ottusamente filo-americane, minacciano gli interessi e la sicurezza di Mosca. Per il momento Mosca non si schiera, ma non è un caso, che nei giorni del “referendum” erano presenti le principali tv russe; erano invece assenti quelle nazionali, alle quali i veneti pagano il canone.
L’Unione Europea, in crisi economica e politica, alla fine mancherà della forza e dell’autorevolezza per opporsi ai movimenti antieuropeisti e identitari che la combattono.
Il nostro governo, suddito della Troika e degli Stati Uniti potrebbe fare ben poco per opporsi al cammino indipendentista della nostra regione. Un’eventuale azione militare contro il Veneto secessionista, lo metterebbe nelle stesse condizioni della Jugoslavia di Milosevic e tutti sappiamo come andò a finire.
I veneti vogliono realmente la secessione o si accontenterebbero del federalismo? Il problema non è questo, ma l’attualità della “Questione Settentrionale” e l’esistenza di una nazione unita nella forma e non nella sostanza. Problemi che la Lega Nord ha cavalcato senza successo e che rimangono irrisolti, a prescindere dai successi elettorali di chi vuole rappresentarli o strumentalizzarli. I veneti sono stanchi di appartenere a uno Stato centralista e inefficiente, rappresentato da una casta di “marionette”, che esegue in modo pedissequo le decisioni della Troika e che sta conducendo il Paese verso un progressivo declino morale, politico ed economico.
La soluzione a una deriva secessionista del Veneto sta nel federalismo. Parlo di un federalismo concreto e responsabile: concreto che affidi alle amministrazioni comunali e regionali poteri maggiori di quelli che ora hanno; responsabile e che imponga alle singole amministrazioni regionali e comunali, il pareggio tra le entrate e le spese, con pene severe per le amministrazioni che non rispettano tale vincolo: commissariamento delle amministrazioni inadempienti, responsabilità civili e penali per gli amministratori. Un federalismo che valorizzi non solo l’autonomia regionale ma anche quelle comunale. L’Italia è la patria dei mille comuni e la nostra tradizione municipalista che risale al medioevo, è stata per secoli esempio di democrazia e di buon governo, ha garantito al nostro Paese quella ricchezza di tradizioni e di storia che ci rende unici nel mondo.
Se la crisi politico-economica, che oggi attraversa l’Europa dovesse inasprirsi, magari sotto la pressione di una nuova Guerra Fredda, tra la Russia e gli Stati Uniti, le tensioni nazionaliste e secessioniste che animano l’Europa potrebbero esplodere. Già vediamo le nazioni “virtuose” (la Germania) opporsi a quelle “indebitate”(Grecia, Portogallo, Spagna e Italia), i popoli dei Paesi indebitati opporsi alle politiche “lacrime” e “sangue” imposte dalla Troika, lo spettro del separatismo spingere il Veneto alla secessione dall’Italia, la Catalogna dalla Spagna e la Scozia dalla Gran Bretagna, cresce ogni giorno il numero di coloro che vorrebbero la fine dell’euro e il ripristino della moneta nazionale. L’Unione Europea rischia di dissolversi e alcuni Stati potrebbero perdere regioni economicamente strategiche. Fantapolitica? La storia corre veloce e cambiamenti spesso sono repentini e violenti, travolgono intere nazioni ed equilibri politici consolidati. Ciò che oggi pare impossibile, domani potrebbe avverarsi, travolgendo tutte le nostre certezze e previsioni. Nel passato scomparvero l’Impero Romano e la Repubblica di Venezia. Di recente sono scomparse la Cecoslovacchia e la Jugoslavia, si è dissolta l’Unione Sovietica, la Siria è dilaniata da una guerra civile che rischia di estendersi all’intera regione. Questi sono i fatti e ognuno tragga le proprie conclusioni.