La crisi ucraina e l’effetto domino dell’indipendenza del Kosovo, che potrebbe coinvolgere anche l’Unione Europea. Le analogie tra la crisi balcanica e quella ucraina, la doppia morale dell’Occidente.
Le dichiarazioni dell’ex presidente Putin all’indomani dell’indipendenza del Kosovo si rileveranno profetiche: – L’indipendenza del Kosovo crea un precedente “orribile” che “si ritorcerà” contro gli occidentali…Il precedente del Kosovo è un precedente orribile: de facto fa saltare tutto il sistema delle relazioni internazionali esistente, non soltanto da molte decine d’anni, ma da centinaia di anni -. – La Russia risponderà se vedrà minacciata la propria sicurezza,…Le potenziali minacce alla sicurezza troveranno risposte adeguate -. (1)
Le parole di Putin saranno profetiche e la Russia applicherà il principio “Kosovo” dei propri interessi e della propria sicurezza, o di quella delle minoranze russe presenti nelle ex repubbliche sovietiche.
La Russia giustifica il proprio intervento in Crimea con il precedente giuridico e politico dell’indipendenza del Kosovo: la sentenza della Corte dell’Aja, (22 luglio 2010) che dichiarava la proclamazione d’indipendenza unilaterale del Kosovo – non è illegale – e – non viola il diritto internazionale – e il principio di autodeterminazione dei popoli, nel nome del quale Stati Uniti ed Europa hanno riconosciuto l’indipendenza del Kosovo.
Le minoranze russe presenti nelle repubbliche ex sovietiche sono per Mosca un’arma per colpire nazioni ieri alleate e ora potenzialmente nemiche. Il Cremlino non rischia molto: agli Stati Uniti non conviene uno scontro militare con la Russia, per difendere le nazioni ex sovietiche ribelli a Mosca, discorso analogo vale per l’Europa che dipende energicamente dalla Russia. (2) Se oggi la Russia fa un uso strumentale del caso “Kosovo” è perché l’Occidente ha creato tale precedente e la sua politica imperialista ha destabilizzato e destabilizza intere nazioni: Iraq, Libia, Siria, Afghanistan, Balcani, Ucraina, Georgia. Se la politica egemonica degli Stati Uniti dovesse cessare, la Russia non avrebbe più interesse a strumentalizzare le istanze secessioniste delle minoranze filo-russe presenti nelle ex repubbliche sovietiche.
Il riferimento al precedente giuridico e politico del Kosovo è esplicito nella dichiarazione d’indipendenza della Crimea dall’Ucraina (11.3.2014): – Noi deputati della Crimea e di Sebastopoli (che ha uno statuto speciale, ndr), in virtù delle norme internazionali e del parere consultivo della Corte internazionale di giustizia dell’Onu sulla dichiarazione d’indipendenza del Kosovo del 22 luglio 2010, abbiamo deciso che se sarà approvato il referendum del 16 marzo, nascerà la Repubblica di Crimea che sarà uno Stato della Federazione russa – . (3)
Oltre alla Crimea, l’effetto domino del Kosovo potrebbe estendersi anche ad altre regioni “calde” dell’Europa dell’est: Transnistria, Abkhazia, Bosnia (Republika Srpska), Kosovo del Nord. Mentre nell’Unione Europea, in crisi politica ed economica, alle elezioni di maggio 2014, potrebbero affermarsi i movimenti identitari e secessionisti, magari sostenuti da Mosca. Catalogna, Veneto e Scozia, potrebbero scegliere la strada dell’indipendenza appellandosi al precedente del Kosovo. In Grecia e in Ungheria, i movimenti nazionalisti potrebbe spingere i rispettivi Paesi a uscire dall’Unione Europea e abbandonare l’euro.
Nel Caucaso, in Ucraina e nei Balcani troviamo gli stessi elementi di crisi: un Paese afflitto da una crisi politica ed economica, forti tensioni interetniche, il conflitto d’interessi internazionali (russi e occidentali).
L’Ossezia è una regione della Georgia, patria di Stalin, nel 1921 fu occupata dall’Armata Rossa e annessa all’Unione Sovietica nel 1922, il 9 aprile 1991 ottiene l’indipendenza da Mosca. Al governo del nuovo Paese sale Eduard Shevarnadze ex ministro dell’Unione Sovietica, fedele a Mosca. Shevarnadze, in seguito alla “rivoluzione delle rose” del novembre 2003 è costretto a lasciare il potere, al suo posto s’insedia il filo-americano Mikheil Saakasvili. I rapporti tra Russia e Georgia si deteriorano quando il nuovo governo chiede di entrare nella Nato e di riportare sotto il proprio controllo la provincia dell’Ossezia del sud a maggioranza russa.
L’8 agosto 2008, le truppe georgiane attaccarono l’Ossezia del Sud per soffocare ogni sua aspirazione indipendentista. Mosca, spinta da un rinnovato “panslavismo” (4), attaccò la Georgia in difesa dei secessionisti dell’Ossezia del Sud, come fece la Nato quando attaccò la Serbia in difesa dei secessionisti albanesi.
Per la Russia l’Ossezia è strategica per il controllo dell’oleodotto BTC: Bakù (Azerbaigian) Tiblisi (Georgia) Ceyhan (Turchia) che trasporta il gas e il petrolio dei giacimenti del Mar Caspio in Europa (5) e per affermare il proprio ruolo di potenza egemone nella regione del Caucaso. Oggi l’Ossezia del Sud non è riconosciuta come Stato indipendente ma, di fatto, lo è.
In Ucraina nel gennaio del 2014, migliaia di persone scesero in piazza per protestare contro la decisione dell’ex presidente filo-russo Yanukovic di bloccare la firma del trattato di associazione all’Unione Europea, destinato a creare un’area di libero scambio tra l’Ucraina e l’Unione Europea, il primo passo per l’entrata dell’Ucraina nell’Unione Europea, il trattato prevedeva anche prestiti per miliardi di dollari da parte del Fondo Monetario Internazionale. La decisione di non sottoscrivere tale accordo fu condizionata dalle offerte allettanti di Mosca: un prestito da quindici miliardi di dollari e sconti sul prezzo del gas russo, la principale fonte energetica che sostiene l’economia e la vita del popolo ucraino.
Le proteste della popolazioni da pacifiche divengono violente e la situazione degenera. L’ala più dura dei manifestanti, armati di spranghe, mazze e bottiglie molotov, mette sotto assedio e in parte occupa i principali palazzi governativi (Palazzo del governo della presidenza della Repubblica e della Banca Centrale, ecc.), si scontra con la polizia intervenuta per reprimere le manifestazioni e difendere gli edifici governativi. Da ambo le parti si fanno uso di armi da fuoco, oltre cento sono i morti e oltre mille i feriti, in maggioranza oppositori del governo ma anche agenti di polizia: sedici morti e oltre centocinquanta feriti, una sessantina in condizioni gravi. (6)
L’Opposizione ucraina è una galassia eterogenea che va dal partito Udar dell’ex pugile Vitali Klitschko (sostenuto dalla Cdu del cancelliere tedesco Angela Merkel) ai sostenitori dell’oligarca Yulia Timoshenko, comprese le formazioni di estrema destra, tra le quali spicca il partito Svoboda (Libertà) guidato dall’anti-semita Oleg Tyahnybok e altri gruppi minori di chiara ispirazione neonazista (7). L’estrema destra è fedele alla tradizione di Stepan Bandera, una delle principali figure dell’“Organizzazione dei Nazionalisti Ucraini” (OUN), l’esercito nazionalista ucraino che nella seconda guerra mondiale, combatté prima contro la Germania nazista e poi al suo fianco contro l’Armata Rossa. Come alleato dei tedeschi fu responsabile del massacro di migliaia di ebrei e di polacchi. (8)
Stati Uniti e Unione Europea, condannano la reazione della polizia ucraina perché la ritengono l’unica responsabile del degenerare degli eventi. Mi domando come si comporterebbero i governi e le forze dell’ordine dei Paesi occidentali, se a Roma, a Londra, a Berlino, a Washington, a Parigi, migliaia di manifestanti appartenenti a formazioni di estrema destra, armati di spranghe, bottiglie “molotov” e armi da fuoco, mettessero sotto assedio i palazzi governativi, attaccassero la polizia, per costringere un presidente legittimamente eletto alla fuga? Ricordate quale fu la reazione delle nostre forze dell’ordine durante i fatti di Genova del 2001 alla caserma Diaz? La nostra polizia usò le maniere dure, un pestaggio da “macelleria messicana” lo definì il vicequestore Michelangelo Fournier. Le forze dell’ordine spararono contro i manifestanti, quando i loro mezzi furono assaltati con le molotov e le spranghe, Carlo Giuliani fu ucciso.
I governi occidentali usano la forza in difesa dell’ordine e di se stessi, ma s’indignano se a farlo sono governi ostili ai loro interessi o non amici. Il deposto presidente ucraino è un esempio di questa meschina doppia morale.
In Ucraina, i movimenti di estrema destra attivi a piazza Maidan, sono gli stessi che in Europa si chiamano Alba Dorata (Grecia), Forza Nuova (Italia) Fronte Nazionale (Francia) e che l’Europa demonizza come “fascisti”, quando denunciano la dittatura della Troika, la corruzione e l’inettitudine dei partiti al governo o i pericoli dell’immigrazione. In Ucraina, per l’ipocrita democrazia occidentale, questi “fascisti” non sono tali, perché funzionali agli interessi occidentali.
Il 22 febbraio il presidente Yanukovic viene deposto e fugge verso una località ignota. Si forma un nuovo governo filo-occidentale, con il compito di ristabilire la pace nel Paese e indire nuove elezioni. Come risposta, Mosca rafforza la presenza in Crimea mettendo sotto assedio le basi miliari ucraine.
Il 16 marzo con un referendum il popolo della Crimea si pronuncia a favore dell’indipendenza dall’Ucraina e per l’annessione della Crimea alla Russia: ha partecipato l’81,73% degli elettori e il 96,6% si è espresso a favore dell’indipendenza. Stati Uniti e Unione Europea definiscono “illegittimo” il referendum, ma non spiegano perché fu “legittimo” quello del Kosovo, mentre un’informazione servile e ignorante, fa da “grancassa” alle menzogne e alla retorica dei nostri governi.
Alla base delle violente proteste che hanno determinato la caduta dell’ex presidente Yanukovic, ci sono ragioni storiche e politiche che vanno oltre il rifiuto della firma di un trattato: la crisi di un regime ex comunista, l’ingerenza degli Stati Uniti e dell’Unione Europea, secolari divisioni storiche e culturali, una miscela esplosiva che ricorda la tragedia balcanica e crea le condizioni per una nuova guerra fredda.
Quello del presidente Yanukovic era un governo corrotto e dispotico, come lo sono la maggioranza dei governi composti di appartenenti all’ex nomenclatura comunista, difetti che spesso non mancano nemmeno ai loro oppositori filo-occidentali, significativo è l’esempio degli oligarchi russi oppositori di Putin. Yulia Timoshenko, l’eroina della “rivoluzione arancione” ed ex Primo Ministro dell’Ucraina, fondò insieme al marito Oleksandr Tymoshenko, (ex funzionario del Partito Comunista) una società che operava nel settore dell’energia e in pochi anni divenne una delle donne più ricche del paese, soprannominata “la principessa del gas”. La Tymoshenko fu condannata per malversazione ed evasione fiscale e rimase in carcere fino al febbraio scorso quando fu liberata dagli insorti.
La casta inetta e parassitaria dell’Europa ex sovietica, è simile per corruzione e inettitudine a quella che governa l’Italia: la nostra segue con fedeltà canina le direttive della Troika e degli Stati Uniti, la loro quelle di Mosca. Quanto alla corruzione, su 178 paesi censiti nel 2010 Transparency International, l’Italia è al 67esimo posto nel mondo, dopo il Ruanda che è al 66esimo posto. (9)
Nella crisi ucraina, come in tutte le “rivoluzioni colorate” e nelle principali manifestazioni ostili a Putin e ai suoi alleati, l’ingerenza dell’Occidente si fa sentire: non solo attraverso le dichiarazioni dei rappresentanti degli Stati Uniti e dell’Unione Europea, ma anche attraverso l’attività delle organizzazioni non governative occidentali: la Fondazione per la Democrazia Est-Europea (SEED), finanziata dal dipartimento di Stato americano e organizzazioni non governative, come Optor (che nel 2001 a Belgrado svolse un ruolo di primo piano nella caduta del presidente Slobodan Milosevic), Open Dialog (finanziata dal miliardario George Soros). Il fine di tali organizzazioni è il rovesciamento dei governi ostili agli interessi occidentali (americani in particolare) e l’ascesa di governi fantoccio filo-occidentali, il loro successo è legato alla situazione socio-politica del Paese coinvolto e dalle capacità dell’opposizione, se quest’ultima non è favorevole o l’opposizione non è organizzata e determinata, vani saranno gli sforzi per destabilizzare un governo legittimo. Rivoluzioni “colorate” furono: la “rivoluzione delle rose” in Georgia nel 2003, la “rivoluzione arancione” in Ucraina nel 2004, la “rivoluzione dei tulipani” in Kirghizistan nel 2005, così come i tentativi di avviare la “rivoluzione dei fiordalisi” in Bielorussia nel 2006, e le rivoluzioni in Armenia nel 2008 e in Moldavia nel 2009. (10)
Per gli Stati Uniti e per l’Unione Europea, la crisi ucraina è l’occasione propizia per far entrare nell’Occidente uno degli ultimi Paesi dell’ex Unione Sovietica. Dalla caduta del Muro di Berlino (1989) a oggi, l’Europa e gli Stati Uniti hanno allargato la propria zona d’influenza all’est Europa: ex Jugoslavia, Repubblica Ceca, Slovacchia, Ungheria, Polonia, Romania, Bulgaria, ora è il turno dell’Ucraina. Forse verrà anche il turno della Bielorussia, in gioco ci sono grandi interessi geopolitici e la rivalsa degli Stati Uniti contro la Russia, colpevole di aver difeso la Siria e quindi impedito un intervento militare a danno di quest’ultima. L’Ucraina è importante per gli Stati Uniti e per l’Unione Europea.
Primo, l’Ucraina rappresenta un immenso territorio da saccheggiare: un serbatoio di manodopera a basso costo priva di tutela sindacale, un’arma di ricatto per indurre i nostri lavoratori ad accettare salari più bassi e rinunciare ai propri diritti sindacali, un luogo dove delocalizzare le industrie occidentali, utilizzando la manodopera locale e la possibilità di calpestare le norme a tutela dell’ambiente e della salute pubblica. Questo è il modello economico neo-capitalista, che s’impone con la forza del ricatto e della sopraffazione, indicativo è il caso dell’Elettrolux di Pordenone: o gli operai dell’Elettrolux accettano salari e condizioni di lavoro simili a quelle dei lavoratori polacchi, o l’azienda porterà la produzione in Polonia.
Secondo, l’Ucraina è militarmente strategica per portare a termine il processo di accerchiamento della Russia da parte degli Stati Uniti. Le basi Nato disseminate nell’Europa dell’Est servono a questo, non certo a difenderci dalla minaccia comunista oggi inesistente. L’Ucraina è strategicamente importante per la Russia, perché Mosca dista circa 460 km dal confine ucraino, un’immessa pianura priva di ostacoli naturali, sui quali costruire una difesa efficace. Dalle basi dell’Ucraina, un esercito forte come quello della Nato o degli Stati Uniti, potrebbe in breve tempo accerchiare la parte meridionale della Russia, mettere sotto assedio Mosca e interrompere le comunicazioni con San Pietroburgo e la parte settentrionale del Paese. La sconfitta della Russia sarebbe quasi certa.
Infine, l’Ucraina è un immenso granaio, utile all’Europa e agli Stati Uniti, per far fronte alle future carestie indotte dai mutamenti climatici.
L’allargamento a Est dell’Europa è guidato dagli Stati Uniti e la Germania cerca di affermare il ruolo di potenza regionale nell’Europa centrale e orientale: i Balcani, l’Ungheria, la Repubblica Ceca e quella Slovacca, la Polonia e l’Ucraina, un’egemonia quella tedesca sempre subordinata agli interessi di Washington e quindi ottusamente filo-atlantica.
La crisi ucraina non è solo il frutto della crisi di un regime dispotico e corrotto o dell’opera destabilizzatrice delle cancellerie occidentali, ma anche di una secolare divisione. Il fiume Dnepr segna il confine naturale tra l’Ucraina occidentale e quella orientale. L’Ucraina occidentale è legata all’Europa da profondi vincoli storici e culturali: la popolazione parla ucraino e per secoli fu governata dal Regno di Polonia, da quello della Lituania e infine dall’Impero Asburgico. L’Ucraina orientale e meridionale è legata alla Russia: la popolazione parla russo e per secoli fu governata dalla Russia zarista. Infine in Ucraina, o meglio in Crimea sono presenti i tartari, minoranza etnica di religione mussulmano-sunnita e di origine turca, da sempre ostile a Mosca e legata alla Turchia, fu oggetto di pesanti persecuzioni, sia nella Russia zarista sia in quella sovietica.
La Crimea, la regione più meridionale dell’Ucraina è stata russa fino al 1954, quando l’ucraino Chrusev, allora presidente dell’Unione Sovietica, decise di donarla all’Ucraina in nome dell’amicizia russo-ucraina, tanto nulla sarebbe cambiato perché Russia e Ucraina erano parte della stessa nazione. Con il crollo dell’Unione Sovietica la Crimea rimase all’Ucraina, nei piani di Mosca nulla doveva cambiare fino a quando l’Ucraina fosse rimasta legata alla Russia (11). Ora la situazione è cambiata, l’Ucraina ha deciso di staccarsi da Mosca per unirsi all’Europa e agli Stati Uniti e questo per Mosca è inaccettabile.
I manifestanti di piazza Maidan che sventolano le bandiere europee sono l’espressione di forte nazionalismo anti russo, frutto di una secolare divisione inasprita da decenni di dittatura sovietica.
La crisi Ucraina presenta un’inquietante analogia con l’ex Jugoslavia: croati e mussulmano-bosniaci vollero la secessione da Belgrado, come risposta le minoranze serbe presenti nelle Repubbliche secessioniste, decisero di staccarsi dalle medesime per unirsi alla madre Patria serba. Stati Uniti ed Europa (Germania in particolare) appoggiarono croati e bosniaci nel nome di precisi interessi geopolitici. Oggi in Ucraina si ripete lo stesso copione: la parte occidentale dell’Ucraina vuole sottrarsi dalla soffocante ingerenza russa, con l’appoggio degli Stati Uniti e dell’Europa; la minoranza russofona rivendica il diritto di staccarsi da una nazione nella quale non si riconosce e la Russia la sostiene politicamente e militarmente. Putin non ha scelte se vuole tutelare la sicurezza del suo Paese e il diritto all’autodeterminazione della popolazione russo-ucraina che vuole rimanere legata a Mosca. I tartari mussulmani da sempre ostili a Mosca, per il momento stanno a guardare perché temono la reazione russa, ma appoggiano il governo filo-occidentale di Kiev.
In Ucraina la situazione è più grave rispetto ai Balcani: l’ex Jugoslavia non era strategica per la Russia e non era abitata da russi, mentre l’Ucraina oltre ad essere strategica per Mosca, ha una popolazione che per oltre il 17% è russa. Inoltre, la Russia attuale non è quella degli anni 90, ha la forza per reagire in difesa della propria sicurezza e può bloccare il flusso di gas e di petrolio, che attraverso l’Ucraina e la Bielorussia arriva in Europa, paralizzando le nostre economie e la nostra vita quotidiana. In uno scontro militare ed economico con la Russia sarebbe l’Europa a pagarne le spese, questo per ragioni energetiche e geografiche. Gli Stati Uniti preparano forti sanzioni contro Mosca e spingono l’Europa a fare altrettanto, tanto a subire le conseguenze di uno scontro sarà soprattutto l’Europa. Se questi sono i nostri alleati è meglio perderli.
Oggi la Russia si sente minacciata dall’espansione della Nato come si sentirono minacciati gli Stati Uniti nell’ottobre del 1962, quando l’Unione Sovietica installò le proprie basi missilistiche a Cuba. Gli Stati Uniti reagirono imponendo a Cuba il blocco navale e il mondo fu sull’orlo di una nuova guerra mondiale. La situazione si risolse con lo smantellamento delle basi missilistiche e l’impegno americano di non invadere l’isola caraibica.
Il nuovo ministro delle Finanze ucraino, Oleksander Shlapak, ha chiesto al FMI un prestito di 15 miliardi di dollari. Se il prestito sarà concesso gli ucraini, dovranno ripagarlo accettando la politica di “lacrime” e di “sangue” imposta dalla Troika: svendita del patrimonio nazionale, licenziamenti nel settore pubblico e privato, aumento del costo e taglio dei servizi pubblici, blocco o diminuzione dei salari e delle pensioni, le stesse politiche imposte alla Grecia e ai Paesi più indebitati dell’Unione Europea. Se oggi gli ucraini sono poveri, domani lo saranno di più.
L’entrata in Europa di una nuova nazione economicamente e politicamente instabile come l’Ucraina, rischia di aggravare la crisi che l’Europa sta attraversando. Quest’ultima dovrà sborsare miliardi di dollari per sostenere una nazione impoverita simile alla Grecia, che rischia di disgregarsi come la Jugoslavia.
La crisi ucraina può trovare soluzione solo con il coinvolgimento della Russia e il riconoscimento del diritto di autodeterminazione dei popoli. Un referendum che dia alla popolazione filo-russa dell’Ucraina orientale e della Crimea, la possibilità di unirsi alla Patria russa e a quella dell’Ucraina occidentale di sottrarsi alla soffocante influenza russa. Se oggi sono sudditi di Mosca, in futuro lo saranno di Bruxelles. Cadranno dalla “padella” alla “brace”. Se questo è il volere degli ucraini: – benvenuti in Europa -.
*Giorgio De Gai è giornalista de “Il Piave”, è autore del libro: Kosovo: un monito per l’Europa. Il Cerchio, 2014
Note.
1) W. Putin 22.2.2008, in http://www.rainews24.rai.it/it/news.php?newsid=78883
2) Marcello Foa: “Le minoranze russe nuova arma di Putin”, Il Giornale 13.8.2008.
3) Antonio Pannullo: “La Crimea autoproclama l’indipendenza e spiazza la comunità internazionale” 11.3.2014.
4) Per panslavismo s’intende il movimento culturale nato nel XIX secolo con l’arrivo d’ideali liberali e nazionali diffusi negli ambienti colti slavi in seguito al romanticismo e alle guerre napoleoniche. Mirava alla presa di coscienza dei popoli slavi di radici comuni, e si poneva come obiettivo quello di creare un unico stato nazionale. Il panslavismo ebbe ruolo ideologico fondamentale per la creazione del Regno di Jugoslavia.
Il primo congresso panslavo fu a Praga nel 1848, presieduto dallo storico F.Palack. La più grande divisione teorica è quella tra il “Piccolo Panslavismo”, che esclude la Russia e il “Grande Panslavismo”, che la include.
La Russia zarista, usò spesso l’idea della riunificazione slava giustificare la sua espansione nell’Europa centro-orientale e nei Balcani. Putin e i nazionalisti della Russia post-sovietica nel nome del panslavismo appoggiano la Serbia nei Balcani e le istanze separatiste delle popolazioni russe nelle repubbliche ex sovietiche.
5) L’oleodotto BTC, (Bakù, Tiblisi, Ceyan) accreditato come il più lungo nel mondo con i suoi 1.770 km congiunge la città di Baku, sulle sponde occidentali del Mar Caspio, con il porto turco di Ceyhan situato sulle sponde orientali del Mediterraneo, attraversando le ex repubbliche sovietiche dell’Azerbaijan e della Georgia per poi penetrare in Turchia.
Sulla questione dell’oleodotto e sugli interessi geopolitici che gravitano intorno al medesimo.
Ahmed Rashid: Talebani: islam, petrolio e il grande scontro in Asia Centrale, Feltrinelli 2001.
6) Fausto Biloslavo: “Reportage da Kiev”. Il Giornale, http://www.ilgiornale.it
7) Nicolai Lilin “La questione ucraina”. In: http://www.ariannaeditrice.it, 1.2.2012.
8) Eugenio di Rienzio: “Il cuore antico della crisi ucraina”. In: http://lanostrastoria.corriere.it, 26.2.2014.
9) Questo è quanto emerge dalla classifica 2010 diffusa da Transparency International, l’organizzazione globale leader nella lotta alla corruzione con sede centrale a Berlino, cui aderiscono oltre 90 associazioni su base nazionale.
10) Valerij Kulikov: “Lotta per l’Ucraina” – 20/12/2013 Fonte: aurorasito.
11) Andrea Franco: “Storia del nazionalismo in Ucraina”. In: http://temi.repubblica.it/limes/, 17.1.2014.
Giornalista de “Il Piave”, è autore del libro: Kosovo: un monito per l’Europa. Il Cerchio, 2014.